giovedì 9 dicembre 2010

Il racconto di Stefania

Guardo fuori dalla finestra in attesa di trovare le parole per descrivere i nostri due mesi in India e l’unica cosa che vedo è il bianco della neve e il cielo color latte.
Insomma quanto di più lontano possa esserci da ciò che abbiamo vissuto nei dintorni di Madras. Perché una delle cose che ti colpisce del Tamil Nadu (e dell’India in generale) è l’uso dei colori che abbelliscono ogni cosa, a partire dagli immancabili braccialetti di vetro venduti agli angoli delle strade per arrivare ai sari che anche le donne più povere indossano con eleganza.
Ora siamo alle prese con una nuova casa e ci troviamo spesso tra le mani frammenti di India. Dalle lampade comprate a Delhi alle foto scattate ad Ananda Illam, la Casa del Sorriso di cui siamo stati ospiti. E così posiamo lo straccio della polvere e ripensiamo a tutto ciò che abbiamo provato; alle cose che ci hanno fatto arrabbiare, a quelle che ci hanno dato gioia, alle persone incontrate e ai posti conosciuti.
Abbiamo vissuto insieme a bambini il cui volto e i cui occhi malinconici spesso ricordano quelli di persone dall’infanzia violata, ma ai quali la fortuna, il destino o chissà Chi ha concesso un’altra opportunità e loro se la sono meritata in tutto per tutto.
Abbiamo ascoltato di come Susairaj abbia deciso di fondare questa struttura, una seconda casa per i “nostri” 24 bambini, quale triste circostanza lo abbia portato a scegliere questo nome e la paura che la mancanza di fondi, dovuta alla crisi che sta colpendo in misura diversa moltissimi Paesi, lo porti a chiudere la Casa.
Abbiamo imparato a comunicare con qualcuno che non conosce la nostra lingua e che pensa che l’Italia sia una bella nazione anche se non sa in quale continente sia.
Ci siamo sentiti indispensabili e superflui, attorniati da attenzioni forse immeritate e scrutati da occhi stupiti di vedere due occidentali camminare sotto il Sole dei tropici in una zona nella quale non si viene certo per turismo.
Abbiamo visto persone che normalmente dovrebbero godersi i frutti di una vita di lavoro e invece si vedono negate le piccole soddisfazioni della pensione perché costrette a lavorare fino a quando la vita non sarà più loro compagna.
Abbiamo visto posti i cui nomi finora erano stati letti solo sui libri o nei depliant delle agenzie di viaggio e che invece nascondono, oltre alle bellezze naturali o architettoniche, le vite di milioni di persone, ognuna con un proprio credo e con le proprie convinzioni, a volte o spesso lontane anni luce dalle nostre.
Ci siamo ammalati e siamo guariti, abbiamo scrutato nel profondo di noi stessi, avendo, a volte, paura di ciò che vedevamo.

Ora, nella grigia e piovosa Milano, ripenso a quanto scritto durante la nostra permanenza in India a chi era rimasto in Italia, alle piccole cose che ci facevano sorridere o che ci stupivano e penso alla mail di un mio collega, siciliano per nascita e giunto qui al Nord per trovare lavoro. Ricordo quando, durante i momenti più difficili, capitava di pensare di tornare in Italia, alla sicurezza derivante dalla monotonia di giorni sempre uguali in ufficio; ripenso a quando mi hanno scritto che comunque andasse noi ci avevamo provato e che quei bambini comunque lo capivano e a volte basta ripeterselo perché, ora, sembri che tutto sia alla nostra portata.


Stefania